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Il primo capitolo del mio libro - L'ULTIMA NOTTE AL MONDO

Capitolo 1

<<Senti... mi vedo con un’altra!>> Cosa, scusa?

Alzo gli occhi spalancandoli su di lui che mi guarda tranquillo, mentre io non resisto e riabbasso subito lo sguardo.

Ha quella espressione idiota: quella faccia da bambino che ha mangiato la marmellata di nascosto dalla madre. Come a dire: “ehi, che ti aspettavi: ho solo cinque anni!”

Solo che lo stronzo ne ha quasi quaranta di anni! Mi guarda con serenità dimostrando di non essere nemmeno un minimo dispiaciuto. Ma cavoli: fai finta, almeno!

E l’intero globo terrestre mi cade sulle spalle! Deve essere così che si sentiva Atlante! Diavolo: fa male!

L’intera compagine deimiei nervi facciali sta cercando disperatamente, contro la mia volontà, di piombare verso il basso, trasformando il mio viso nel muso di un simpatico San Bernardo, con le guancia cascanti e gli occhi da cucciolo ferito.

Ma non posso assolutamente permetterlo, perciò fingo un’aria impassibile, cercando di sfoggiare un sorriso freddo. <<E chi sarebbe quest’altra?!>>

Ok. La voce sembrava quella di una disperata.

E il sorriso freddo non è poi così tanto freddo.

Mi scorgo di sfuggita nella specchiera a muro dell’ingresso, quella che avevamo fatto installare dal famoso architetto e che era costata un occhio della testa.

Quella con la cornice bianca in stile dorico.

Mi fa cagare quella dannata specchiera!

E anche la mia immagine riflessafa cagare.

Sembro una che si è appena sottoposta a un lifting venuto male.

Quindi la smetto di sorridere.

<<Chantal!>> Cosa? Vuole dire Chantal la segretaria brasiliana del suo studio? La shampista bionda tinta con le labbra rifatte che dimentica di mettersi la gonna per andare a lavoro? Perché gli uomini sono così scontati?

Ok. Calma e autocontrollo. Tranquilla e rilassata. Devi sembrareassolutamente indifferente.

<<E da quanto precisamente va avanti questa storia?>>

Sembra pensarci e poi dice, con lieve turbamento: <<Qualche mese>>, come se stesse dicendo “Tesoro, scusa ho dimenticato di prendere il pane”.

<<Qualche mese?!>> ripeto con una voce stridula.

Dio! Sembro una gallina a cui hanno appena strappato tutte le penne.

<<E tu butti anni di convivenza e condivisione per una storia clandestina di qualche mese?!!!>>, la mia voce è salita di qualche ottava, nel frattempo.

<<Sì. Sai lei… mi dà qualcosa che con te non riuscivo ad avere, lei si fida di me e io mi confido con lei, le racconto tutto… insommalei mi completa!>>

Ok. La storia dell’indifferenza e dell’autocontrollo era una grande cazzata.

<<Tu dannato figlio di puttana impotente e moscio. Tu vieni a dire a me che quella grandissima zoccola, finta, tinta, culona… (bip, bip, bip) si fida di te? Perché io non mi fidavo di te?? Lei ti completa? Si ti completa perché tu sei una nullità, sei un mezzo uomo, un puttaniere frigido (ok questa non aveva senso) un fallito…>>

Lui mi guarda allibito. Ha la bocca spalancata e mi squadra come se fosse la prima volta che mi vede.

E forse è vero. Forse non mi ha mai conosciuto davvero.

Sette anni di quella che pensavo fosse la storia d’amore della mia vita e lui non sa chi sono.

Ero troppo occupata a impressionarlo e a compiacerlo per essere me stessa.

Sette anni con una persona che non mi rispetta neanche il briciolo sufficiente a permettermi di entrare in casa e togliermi il cappotto prima di sganciare la bomba: prima di dirmi che me ne devo andare da casa sua e che mi ha già preparato le valigie.

Come se fossi un ospite indesiderato. Uno di quei parenti che venivano a casa dei miei genitori senza preavviso e che si stanziavano sul nostro divano per mesi, sporcando e russando. Uno di quelli che vedevamo andare via con gioia.

Mi verrebbe da piangere a dirottose non fossi incazzata nera. Ma proprio nera. Dannato figlio di… (biiiip)

Già che non mi ha dato nemmeno il tempo di toglierlo, ho già su ilcappotto, quindi, con gesti drammatici prendo il borsone da terra, tiro la maniglia del trolley e mi preparo ad andarmene.

<<Non so se c’è proprio tutto, se manca qualcosa puoi venirlo a prendere quando vuoi. In fondo questa è stata casa tua.>>

Sfoggia quel sorriso affascinante e dolce di cui mi sono innamorata e penso che in fondo così mi ha risparmiato tanti drammie discussioni. Forse è stato così duro per il mio bene. Un taglio netto è meglio di un lento seghettare. Forse voleva farmi arrabbiare perché io mantenessi intatto il mio orgoglio invece di supplicarlo come una penitente in preghiera.

Ma poi aggiunge con voce noncurante: <<Magari chiama per avvisare prima, però>> e capisco che è solo un stronzo.

La furia assoluta mi assale di nuovo.

Se potesse, il mio cervello inizierebbe ad emettere sbuffi di fumo come nei cartoni di Willie il coyote.

Dio che rabbia! Che nervi! La gamba prende a tremarmi terribilmente sul posto: segno che sono veramente, ma veramente arrabbiata.

<<Vuoi che ti chiami un taxi?>>

<<Sei davvero un bastardo! Io ho perso solo il mio tempo con te. Mi spiace solo non averlo scoperto prima, mi sarei risparmiata tanti anni di infinita noia e mediocrità.>>

Lo stronzo mi guarda con quell’aria da “so benissimo che lo dici solo perché sei ferita, ma in realtà sono l’uomo dei tuoi sogni, o almeno lo ero fino a due minuti fa”. Ma in fondo che importa:più in basso di così non si può cadere, quindi tanto vale. Giro sui tacchi, mi avvicino alla porta, la apro, sposto le valigie sul pianerottolo e sto per andarmene quando mi viene una folgorazione.

<<Benny la sai un’altra cosa: secondo me come avvocato fai cagare. In realtà ti ho sempre mentito: non capisci niente di diritto e i tuoi atti sono una specie di insensato garbuglio di merda!>> e chiudo la porta con uno scatto, ma ho il tempo di vedere la sua espressione scioccata e assolutamente umiliata.

Ben fatto. Un punto per me.

Non c’è niente che offenda un avvocato più di sentirsi dire che non è un buon avvocato.

Garantito.

Parlo per esperienza personale. Eh già anche io sono un avvocato: uno degli squali. Anche se a dire la verità io mi sento più simile a… non so… un pesce rosso!

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